Diario di una (quasi) trentenne complessata

Mi ritrovo a scrivere su questo blog per noia, o forse solo perché ultimamente mi sono ritrovata a sentire nella mia testa decine e decine di parole e flussi di coscienza che forse avrei bisogno di tirare fuori, così a caso, per avere un punto della situazione, anche se magari (e spero) non lo leggerà nessuno, ma potrò rileggerlo io quando starò meglio, peggio o comunque in modo differente da ora.

Sono in uno strano periodo della mia vita. Ho un lavoro, un uomo che amo follemente, delle persone a cui voglio bene, e un tetto sopra la testa. Dovrei ritenermi felice, e in molti momenti mi sento davvero così, e vorrei rimanere ancorata a quei momenti solo per evitare di pensare nell’istante esatto in cui mi ritrovo da sola. Attenzione, non voglio dire che la solitudine mi pesi; in realtà spesso sono proprio io a ricercarla, lo stare troppo in mezzo alla gente mi fa mancare l’aria, ed avere i miei spazi è sempre stato qualcosa di cui ho avuto estrema necessità, per riposare il cervello, rilassarmi, riflettere, pensare, o comunque semplicemente staccare la spina. Però ultimamente mi ritrovo sempre più a pensare a me, in particolar modo a quello che non mi piace di me, cosa che d’altronde è sempre successo, lo ammetto, ma la particolarità di questo momento della mia vita mi porta a fare una sorta di autoanalisi su come io stia diventando e se questo modo di essere mi potrà portare o meno a quello che vorrei diventare nel corso della mia esistenza.

Da sempre , o perlomeno da quando ho iniziato a “crearmi” una personalità autonoma, l’unica cosa che volevo veramente era essere diversa. Ma cosa voleva dire essere diversa? Ancora non lo so. Ho cominciato con la musica, non volevo più ascoltare quello che ascoltavano tutti, così sono passata a metal. Poi al modo di vestire, volevo emergere, volevo che la gente non mi vedesse come loro, così che mi allontanassero; volevo che gli unici che potessero avere il diritto di starmi vicino fossero quelli che sapevano andare oltre le borchie e le catene e vedere che dentro di me c’era ancora quella ragazzina sensibile che ama la natura, gli animali e che crede nell’amore eterno. Poi il trucco nero, la tinta rossa. Pian piano ho capito che l’essere diversa mi aveva portato a piacermi di più, credevo di più in me stessa e riuscivo quasi a camminare per la strada senza guardarmi sempre e solo la punta delle scarpe. Forse stavo diventando la donna che volevo essere.

Ma questo non bastava, non basta ancora. Mi sono sempre portata dietro quell’enorme insicurezza che mi porta a volere essere sempre di più, non accettarmi mai e provare ad essere ancora e ancora quello che so bene non potrò mai essere. Arrivavo ad invidiare anche donne molto più brutte di me (sia esteticamente che nell’animo) solo perché magari loro avevano quel particolare in più che io non avevo, oppure perché riuscivano ad attirare l’attenzione senza avere niente di particolare. O magari solo perché erano circondate da amici e facevano un tipo di vita che io non avevo mai fatto, d’altronde anche per scelta personale. Io non ho mai avuto molti amici, sia perché non mi accontento, sia perché non trovo quasi mai nelle persone qualcosa che possa colpirmi e che mi faccia venire voglia di conoscerle, sia perché quei pochi amici e affetti che io abbia mai avuto nella mia vita mi hanno pugnalato più volte alle spalle e mi hanno fatto capire che tenere ad una persona molto più di quanto lei tenga a te è (purtroppo) un errore madornale. Quindi da molto, moltissimo tempo evito di affezionarmi e ho tirato su un muro che mi permette quasi sempre di tenere lontane le persone, o quantomeno farle avvicinare ma avere sempre quella sorta di dubbio (che è quasi una certezza) che prima o poi mi faranno del male, quindi la mia fiducia nell’essere umano è andata pian piano a farsi fottere. Sono sempre stata bene in questa condizione, non ho sofferto per un po’, anche se ammetto di aver percepito quella solitudine che percepivo ogni volta che vedevo sui social foto di cene, feste, abbracci, pomeriggi in cui io non ero mai presente. Ma mi stava bene così , meglio la solitudine che le delusioni, no? 

Il complesso che più di tutti mi ha portato a chiudermi in me stessa è stato, oltre all’insicurezza e alla timidezza, il rifiuto che ho sempre avuto per il mio corpo. Non sono mai riuscita a guardarmi allo specchio senza avere un’espressione stizzita e schifata, non ho mai indossato un costume al mare, non ho mai messo qualche vestito o maglietta che andasse a mostrare le mie forme, non ho mai voluto apparire sensuale o comunque carina , perché sapevo di non esserlo. Non dico che questo possa essere un male, alla fine sono sempre riuscita a trovare un equilibrio senza stare con le tette al vento o girare in shorts (cosa che non avrei fatto nemmeno con un fisico statuario), ma il motivo principale per cui non lo faccio è perché non voglio mostrare i miei presunti difetti. So di non essere poi così grassa, so di non avere “brutture” così evidenti da non potermi permettere una normale maglietta e non uno dei sacchi che indosso di solito, ma non ci riesco. E la cosa , come il resto , non mi pesa, ma il pessimo rapporto che ho con me stessa e con il mio corpo ha contribuito al pessimo rapporto con le altre persone.

Fino ad oggi bene o male tutti questi problemi non mi pesavano. Ma ora si, molto. Ho conosciuto finalmente. dopo anni e anni di ricerche, dopo anni di delusioni, qualcuno che mi accetta per come sono e che sopratutto HA CAPITO come sono , andando oltre i miei teschi, il mio nero e il mio gusto per l’orrido. E all’inizio di tutto ho avuto paura, avrei voluto lasciar perdere perché come al solito sapevo di non essere abbastanza. Ma ho voluto continuare e aspettare che , come tutte le persone che ho conosciuto nella mia vita, si stancasse di me appena avesse conosciuto la “vera Debora”.  Dopo un po’, dopo che piano piano scopriva i miei difetti, dopo aver capito che non sarebbe andato via, ho iniziato a buttare pian piano giù il pesante muro, mattoncino dopo mattoncino, e mi sentivo anche più aperta verso il mondo, e vedevo e cose da una prospettiva diversa. Per un breve periodo ho cominciato sentirmi “normale”, a non vedere più solo il nero delle cose, ma anche le sfumature di colore, avevo aperto uno spiraglio di luce nella mia anima nera e pessimistica. Poi, dopo questa breve parentesi, le mie insicurezze si sono fatte avanti, di nuovo, e la mia persona ha ricominciato ad apparirmi terribile , brutta e senza alcun minimo di attrattiva. Cosa succede in questi casi? La gelosia. La convinzione che potesse vedere ogni persona come migliore di me (perché sono convinta che tutti lo siano) e che possano portarmelo via. Come i bambini. Come gli stupidi.  E iniziano gli incubi la notte, le domande come “e se..?”, si comincia a pensare alle bugie e ai tradimenti e alle pugnalate dietro alla schiena che ho subito una vita intera. Ma la convinzione del voler lottare ogni giorno per la mia felicità mi fa andare avanti. In passato ho potuto vedere come la gelosia (e non parlo solo della gelosia in un rapporto di coppia, attenzione) possa rovinare ogni genere di rapporto, come lo logori e come si arrivi all’esasperazione, e io non voglio diventare l’artefice della mia rovina. Quindi mi aggrappo con le unghie e con i denti a tutto ciò che c’è di positivo, anche se iniziare a donare fiducia a qualcuno dopo che in 27 anni TUTTI, in un modo o nell’altro, hanno fatto si che io non ne abbia più per nessun essere umano, nemmeno per mia madre, è un’impresa quasi impossibile. Ma io non mi arrendo. Sto cercando di cambiare me stessa ogni giorno, in tutti i lati di me che non mi piacciono, sia fisici che caratteriali, per far sì che inizi a piacere in primis a me; e costruendo la fiducia in me stessa, solo in questo modo, avrò la possibilità di riuscire a capire la sincerità dei sentimenti che le altre persone possano provare per me. Ce la farò? O manderò tutto all’aria? Chi lo sa. 

Alla prossima puntata.

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